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URUTAU

extinction party

parte del progetto "esercizi di pornografia vegetale"

ideazione e regia
Francesca Pennini

azione e creazione
partecipanti del workshop che Francesca Pennini, coreografa di CollettivO CineticO, condurrà in concomitanza dell’evento

scheda tecnica

L’Urutau (in italiano il Nittibio) è un uccello sudamericano con una genetica filosofica familiare al Manifesto Cannibale di CollettivO CineticO: è notturno, sta immobile tutto il giorno in posture improbabili, si mimetizza somigliando agli alberi, vede tenendo gli occhi chiusi ed è praticamente tutto bocca.
Per coronare la sua gemellanza viene addirittura chiamato “l’uccello fantasma”. A lui è dedicata questa performance: un ibrido tra un rito sacrificale e un rave party congelato.
Sono corpi immobili e ciechi che si sfidano in una gara di resistenza.
Sono artistə, persone, esseri viventi che si allenano alla telepatia valicando la soglia tra spazio scenico e spazio contemplativo come in un passaggio di stato della materia e dello sguardo.
Tutto è fermo, eppure si genera un racconto per sottrazione, una narrazione intima e tremante.
È una maratona senza chilometri, una metamorfosi ascetica che dedica il suo eroismo silenzioso ad una tifoseria in apnea.
È ora di restituire eternità agli istanti.
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Quando abbiamo cominciato il lavoro, nel 2019, venivamo da un’estate iperproduttiva in cui avevamo messo in scena How to destroy your dance, uno spettacolo sulla velocità pensato sulle ossessioni dell’accelerazione, sul mondo della fretta e il panorama estetico della competizione sportiva. Poco dopo è iniziata la ricerca sul suo opposto, un’indagine sull’immobilità e il mondo vegetale: nasceva Manifesto Cannibale. Tutto chiamava lentezza e da lì a breve tra infortuni e pandemia, la realtà si è fermata dentro e fuori la scena risuonando inaspettatamente con il processo creativo. In questa gestazione estesa la ricerca e le sue spinte continuavano a mutare, rendendo chiara la necessità del progetto di ramificare, non limitandosi più al pensiero su piante e immobilità. Manifesto Cannibale è proliferato in direzioni sfaccettate diventando un organismo multiforme che accoglie pratiche, testi, immagini e materiali che vanno oltre il fenomeno performativo ma che in questo si sintetizzano.
Urutau è una di queste proliferazioni, è l’occasione di condividere una condizione dei corpi molto particolare studiata durante il processo creativo.
Non si tratta solo di trasmettere una pratica invitando altre persone in un mondo, ma di innescare una reazione chimica con una componente fondamentale: lo sguardo.
L’atto di resistenza di chi è in scena dialoga con lo sguardo di chi è fuori, spettatrici e spettatori che si mescolano a chi abbandona il palco.
Lo spettacolo fa del tempo - della performance e della condivisione - il fulcro dell’incontro con l’Altro che è sia lo spettatore ma anche l’altro da sè, il corpo estraneo che è per sua natura non conoscibile empiricamente rappresentato dal mondo vegetale e dalla sua dimensione aliena, statica e lenta ma allo stesso tempo essenziale per la vita sulla Terra. La relazione di scambio imprescindibile tra gli organismi viventi fa eco in questo lavoro alla relazione tra pubblico e scena. Tra chi guarda e chi viene guardato. Tra chi consuma e chi si lascia mangiare. Il desiderio era quello di sintetizzare la ricerca sul mondo vegetale in un eserciziario per un teatro che non rappresenta né racconta. Un teatro che si fa esso stesso, nella sua globalità, paradigma di una complessità ecologica, politica, ontologica dei corpi. Che il teatro possa farsi portavoce - silenzioso - di questo scardinamento insiemistico, farsi palestra per essere Altro, per sentire l’Altro e forse, fondamentalmente, per osservare quello scarto inaccessibile che ci separa.
Urutau è un rito che nasce dalle pratiche fondanti del Manifesto Cannibale.
Per gioco - ma poi sul serio - ho chiamato il metodo sviluppato nel processo creativo “FITONESS / eserciziario di pratiche vegetali” [Fito- dal gr. phytón “pianta"], in opposizione alla dimensione palestrata e predatoria del fitness.
Il fitoness è un allenamento all’essere vegetale e traduce i virtuosismi tipici delle piante per i corpi degli esseri umani. I principi fondamentali sono: immobilità come pratica trascendentale; rallentamento come amplificazione del microscopico; alterazioni della presenza per un teletrasporto molto analogico (sonno, sogno, sonnambulismo, meditazione); coreografia dell’invisibile e altri misteri viscerali; fotosintesi, sonar e improbabili traduzioni sensoriali; pratica lisergica del respiro per un cannibalismo cortese.
Qualche esempio di base: fare azioni senza produrre suoni; pranzare a occhi chiusi; passare un intero giorno in compagnia senza parlare; stare immobili in luoghi pubblici; guardare attraverso le palpebre; smettere di usare la sveglia (e non fare tardi).
Questi sono alcuni principi e dei giochi che ci hanno accompagnato nella ricerca. Siamo statə immobili per ore e abbiamo scoperto come si trasformano il corpo e il pensiero. Siamo statə in silenzio per giorni interi. Ci siamo fattə gestire da altre persone come piante che vengono addobbate, potate, spostate al di fuori della loro scelta. Sostanzialmente: ci siamo trasformatə.
E’ stato nella trasmissione di queste pratiche ad altri corpi che mi sono accorta del potenziale scenico di questa moltiplicazione, di questa diversità. Non solo i racconti di chi viveva l’esperienza tracciavano un percorso di metamorfosi, allucinazioni e meraviglie, ma il mio stesso sguardo raccoglieva un panorama umano che attraverso quell’atto di resistenza si svelava.
Una foresta umana commovente, fatta di forza e fragilità, distesa in un tempo per pensarla, immaginarla, intuirne i segreti. Una durata che rompe ogni logica dell’intrattenimento a favore della meditazione, di un’attenzione preziosa e amplificata.
(La traccia di tutto ciò si trova nel sito-organismo manifestocannibale.it dove, senza censure, si possono leggere i retroscena sterminati di questa avventura.)



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